in collaborazione con Biblioteca Palatina di Parma e informaCIBO,
Parma 13 Dicembre - AUDITORIOM di PARMA LIRICA, Via Gorizia, 2.
Un Futuro che nasce lontano
Programma
“Il Patriota e la Maestra” di Vito Teti
(ed. Quodlibet 2012)
Saluto delle autorità
introduzione di Raffaele D’Angelo
Modera:
Angela Malandri
Gino Reggiani
Gabriella Corsaro canta di donne moderne in un tempo antico
al pianoforte Svetlana Kononenko
Saranno presenti i discendenti dei due protagonisti del libro
Ore 21:00 - Cena di accoglienza Parma Lirica
Il circolo dei Calabresi di Parma si raccoglie ancora una volta attorno alla testimonianza che alla Storia è stata consegnata da due protagonisti di grande significato: Giovanna Bertòla e Antonio Garcèa. Sono personaggi che hanno dato al loro tempo senso e significato con la qualità appassionata che li ha portati a vivere esperienze sociali e politiche con le quali hanno contribuito alla storia del Risorgimento Italiano.
Sono orgoglioso come Presidente del Circolo dei calabresi di aver potuto organizzare un'incontro che diventa un'altra occasione di studio e di divulgazione della buona indole politica e culturale di gente di Calabria.
Sono onorato che i discendenti dei due patrioti saranno presenti e mi piace pensare che questa nostra iniziativa loro dimostri l'attenzione e il rispetto della memoria che Vito Teti e noi abbiamo voluto mantenere come riconoscimento ai loro avi.
Il Presidente
Raffaele D'Angelo
LE PAROLE CONSEGNATE
Scrittura e memoria
di Rocco Caccavari
E' difficile definire una tradizione letteraria che possa dare conto dei passaggi successivi che la cultura di una realtà territoriale, senza pensare al popolo che la produce, come testimonianza di una cronaca irripetibile che appare sempre uguale nella storia.
Il popolo, che una determinazione geografica definisce come meridionale, è stato sempre raccontato come portatore di una povertà di insieme, al punto che in letteratura diversi autori ne hanno sempre raccontato la sofferenza. Certo che la fatica del vivere, l'irraggiungibile emancipazione, da una fame perenne di diritti e di pane, che non consente quasi mai di andare a scoprire come una idealità profonda, invece, si consuma sotto il bisogno di sopravvivere in una realtà sociale che obbliga, appunto, a combattere per la sopravvivenza.
Il popolo, che una determinazione geografica definisce come meridionale, è stato sempre raccontato come portatore di una povertà di insieme, al punto che in letteratura diversi autori ne hanno sempre raccontato la sofferenza. Certo che la fatica del vivere, l'irraggiungibile emancipazione, da una fame perenne di diritti e di pane, che non consente quasi mai di andare a scoprire come una idealità profonda, invece, si consuma sotto il bisogno di sopravvivere in una realtà sociale che obbliga, appunto, a combattere per la sopravvivenza.
Gli scrittori Calabresi hanno sempre raccolto le storie della propria terra attraverso la visione forzata, drammatica, che sembra immodificabile, di un popolo infelice, silenzioso, sempre fuori dal suo tempo, ma in un tempo sempre uguale:
quello della povertà materiale che non permette alla immaginazione e alla fantasia e quindi alla ricerca di una possibile felicità, di costruire almeno qualche parte di vita che valga la pena consumare. Drammi quotidiani, d'una intera vita, per ognuno diventano i drammi secolari da cui è possibile il riscatto solo attraversola fuga e l'abbandono di terre di luoghi, di sentimenti portando via le radici, che diventano la nostalgia costante del ritorno.
quello della povertà materiale che non permette alla immaginazione e alla fantasia e quindi alla ricerca di una possibile felicità, di costruire almeno qualche parte di vita che valga la pena consumare. Drammi quotidiani, d'una intera vita, per ognuno diventano i drammi secolari da cui è possibile il riscatto solo attraverso
Invece penso che vada ricordato con più attenzione e con maggiore rispetto della fatica che costa l'anelito di stare dentro ai fatti, dei quali purtroppo, molto spesso, le circostanze difficili della vita, tengono fuori gli esseri umani apolidi, anche nella propria terra.
Drammi quotidiani, d'una intera vita, per ognuno
diventano i drammi secolari da cui è possibile il riscatto solo attraverso la fuga e l'abbandono di
terre di luoghi, di sentimenti portando via le radici, che diventano la
nostalgia costante del ritorno.
Invece penso che va ricordato con più attenzione e con
maggiore rispetto della fatica che costa l'anelito di stare dentro ai fatti,
dei quali purtroppo, molto spesso, le circostanze difficili della vita, tengono
fuori gli esseri umani apolidi, anche nella propria terra.
Così le eccellenze nel campo del pensiero antico e
moderno, nelle attività culturali per le quali le intelligenze e i saperi
locali, hanno aiutato molto il progresso del mondo in generale "gli
immigrati che diventano patria degli altri", ci permettono di dire che
anche ai cambiamenti della storia, sociale e politica del nostro paese, il
contributo delle genti del sud, è testimoniata da episodi esemplari.
Solo per rappresentarne una significativa continuità,
richiamo la lotta dei Calabresi durante la Resistenza, che in diversi luoghi di
Italia, contribuirono anche con il sacrificio della vita alla nascita di una
nuova Nazione. Anche questa è una storia che va ripresa e raccontata con
l'urgenza che deve rappresentare verso i rigurgiti di conservatorismo che al
sud frenano il progresso.
Intervento di Angela Malandri, autrice di una tesi di laurea sulla Bertòla e su "La Voce della donna".
E’ maggio del 1861 quando Antonio
Garcéa giunge a Mondovì alla guida della divisione Avezzana, insieme al
generale Stefano Turr, avventuroso patriota ungherese, compagno d’armi di
Garibaldi; con lui sta passeggiando per le strade della cittadina piemontese
“invasa” dalle camicie rosse in attesa di essere integrate nell’esercito regio,
quando incontra per la prima volta Giovanna Bertòla; tra i due è amore a prima
vista: i documenti ci testimoniano che il 1 giugno, dopo solo un mese di
conoscenza, i due decidono di sposarsi. La storia originale e intensissima di questa diciottenne piemontese che, prendendo assai seriamente il motto di Cavour “fatta l’Italia ora bisogna fare gli italiani”, dedicò tutta la sua vita all’istruzione ed emancipazione femminile, è ricca di avvenimenti che stupiscono e che ancora ci interrogano; in particolare colpisce la modernità del rapporto tra Giovanna e Antonio , che sempre hanno potuto contare sul reciproco sostegno e sulla reale condivisione degli ideali che li hanno portati a spendersi costantemente e senza riserve, superando anche la tradizionale divisione dei ruoli.
Singolare anche la consapevolezza storica del proprio valore
che ha portato Giovanna a raccontare lei stessa la sua storia: nel palazzo della famiglia Olmi di Bobbio , dove
visse gli ultimi anni della sua vita,
Giovanna ha raccolto, ordinato, e numerato in carpette viola parecchi
documenti grazie ai quali possiamo ricostruire la sua attivissima vita, che si
intreccia con i primi anni della storia della nostra nazione e che ci
testimoniano la sua volontà di avere una posterità storica. Attraverso una notevole quantità di
documenti, lettere e fotografie ho potuto ricostruire l'intensa vita e
l'originale pensiero di Giovanna, fondatrice de “La voce delle donne”, primo
giornale emancipazionista femminile in Italia, grazie al quale, secondo la mia
tesi, possiamo anticipare l’inizio dell’emancipazionismo italiano agli anni
1865-70 e non nei primi del ‘900, come si è soliti affermare. (Angela Malandri).
Garceà e Bertòla a Parma: 1864-1867
Vito Teti
I tre anni che Antonio Garcèa e Giovanna Bertòla trascorrono a Parma sono importanti, centrali nella loro vita, densi, pieni di iniziative, sociali, culturali, editoriali, che avrebbero lasciato un segno nella città e, come si capisce oggi, nella storia culturale italiana. Parma non poteva che essere una metà obbligata e prioritaria per ricordare queste due figure grazie alle persone che ne hanno scritto (Gino Reggiani, Angela Malandri,
Il 28 luglio 1864, sul registro della popolazione del Comune di Parma, come
ricorda Gino Reggiani, è segnalato l’ingresso in città del maggiore delle piazze Antonio Garcèa, alle dipendenze
del colonnello Giuseppe Doria.
Con lui arriva in città la moglie, poco più che
ventenne, con una bimba in braccio con un baule di libri, tra cui l’Emilio
di Rousseau e anche scritti di forte impronta giacobina dei
circoli femminili più libertari come il Circolo delle donne italiane di Venezia.
Non sono due personaggi notissimi, ma non sono nemmeno due illustri
sconosciuti. Garcèa: patriota, liberale, carcerato, amico di Carlo Poerio, Luigi
Settembrini, Sigismondo Castromediano, Nicola Palermo, poi, in prima linea,
come sottoufficiale, durante la campagna garibaldina, da Messina a Mongiana,
dalle Puglie a Capua. Lei giovane maestra appartenente a una famiglia
benestante. I due si erano conosciuti conoscono a Mondovì, si sposano subito,
scrivono le memorie. Dopo vari veloci passaggi tra Firenze, Empoli, Vasto,
arrivano a Parma.
Sabina Magrini direttrice Biblioteca Palatina di Parma |
Antonio Garcèa è l’ufficiale più alto in grado del
Comando Militare dopo il comandante Doria, in una città, che come ricostruisce
Angela Malandri, presenta un volto contrastante: dimamico e chiuso, aperto e
clericale.
La giovane maestra si rende conto che l’ambiente
culturale non era quello di Firenze, e tuttavia può contare sulla
collaborazione di altre donne (che scrivono da altre parti d’Italia e anche
dall’Inghilterra) e sul sostegno del marito, il cui nome compare nelle varie
sottoscrizioni per la
raccolta di fondi proposte dal giornale. Giovannina si dedica
poco alla vita mondana e
sociale e da Borgo delle Asse 42 raggiunge quasi
quotidianamente la biblioteca molto fornita del Palazzo della Bilotta. Gerente
responsabile del giornale è nominato Francesco Capano, un cugino calabrese, che
viveva con loro a Parma. Il 30 settembre Capano chiede al Prefetto di Parma di concedere
con celerità i documenti previsti dalla legge, affinchè il Ministro
dell’Interno potesse rilasciare l’autorizzazione alla pubblicazione del
periodico femminile. Il primo gennaio 1865 viene stampato nella tipografia di
Pietro Grazioli di
Parma il numero saggio, oggi introvabile de «La Voce delle
donne. Giornale Scientifico Politico Letterario». La tiratura del saggio della
rivista è di ben tre mila copie, la diffusione avviene in tutta Italia poiché il progetto dichiarato e
perseguito dalla Bertòla era quello di dare vita a un giornale nazionale.
Nel
periodo di Parma vengono conferite ad Antonio Garcèa varie medaglie
commemorative per la sua partecipazione alle campagne insurrezionali e militari
dal 1848 al 1861; gli viene conferita la medaglia d’argento al valor militare
per la battaglia su Capua con il suo battaglione. Non mancano i problemi e le delusioni.
La
famiglia, peraltro, cresceva in quel periodo. Il
22 maggio 1865 nasce la
secondogenita Luisa , Letizia, Alessandrina.
Il secondo nome imposto a Luisa corrisponde a quello
della sorella di Louise, Laetitia-Toséphine (1802-1850), che sposò il
conte Gioacchino Pepoli di
Bologna. Il loro figlio Gioacchino Napoleone fu
anche patriota, deputato, ministro, ambasciatore e dal 1868 senatore del Regno, primo
firmatario della sottoscrizione per un Istituto internazionale femminile
lanciata da Giovannina nel 1867.
Il rapporto di Garcèa con la tradizione
risorgimentale liberale e murattiana, che viene coltivato e probabilmente
rafforzato dalla presenza della giovane moglie, è confermato dalla sua attiva,
e certo non secondaria adesione, proprio in questo periodo alla massoneria. Non
sappiamo se la giovanile adesione alla carboneria si fosse trasformata in
adesione a qualche loggia massonica, certo durante la lunga prigionia Garcèa
incontra numerosi patrioti, tra cui Settembrini, aderenti alla massoneria.
Il
protagonista da questo momento non sarà Antonio, ma la giovane moglie. Egli ne
segue e sostiene, con convinzione, le iniziative culturali, giornalistiche,
editoriali, scolastiche.
Una rivista che nasce con il programma di «educare,
istruire, consigliare, parlare di diritti e di doveri» delle donne è una novità
assoluta nel paesaggio editoriale
del nuovo Stato e sicuramente un passo in avanti importante nella
storia dei movimenti femminili. La Bertòla pensava che l’istruzione femminile
sarebbe diventata la smentita più clamorosa e vistosa delle teorie
sull’inferiorità femminile e quindi sulla necessità di dare loro gli stessi
diritti civili degli uomini, dal lavoro al voto alle elezioni.
La rivista, nonostante ostacoli e difficoltà, si è
ormai fatto un fama nei circoli femmenili delle grandi città italiane.
Interessanti sono i tanti articoli dal carattere sociale e in cui si denuncia
l’abitudine di
sottopagare il lavoro femminile o quelli in cui si invitano
le donne a un impegno nella vita sociale e politica del Paese. Questa impronta,
che ha un carattere radicale, trova espressione in un denso e bello articolo
della Mazzoni, apparso il 22 gennaio 1867, e che porta il titolo L’istruzione nelle campagne. La Mazzoni sostiene la necessità di fondazione
di asili per l’infanzia. Un forte sforzo della redazione , come
ricorda Gino Reggiani, è quello relativo al voto delle donne.
È un fatto notevole perché le donne non godevano
dei diritti politici. Nessun giornale prima de «La Voce delle Donne», come
scrive Angela Malandri, reclamò il suffragio femminile, sollecitando le donne
ad interessarsi delle vicende politiche.
Nel n. 17 de «La Voce delle donne», preparato in
gran parte da Teodorina Fanelli ed Adele Campana, veniva affrontato, in maniera
decisa, il problema della questione dell’educazione religiosa delle donne e dei
suoi effetti negativi sull’istruzione delle stesse. Queste prese di posizione
suscitano ben presto l’opposizione della Chiesa e degli ambienti più
conservatori. La rivista ha, inizialmente in ambiente moderato e su certa
stampa locale (si veda «La
Gazzetta di Parma » del 17 gennaio 1865) una buona accoglienza
e anche qualche sostegno nella divulgazione. Ben presto riceve aspre critiche
che arrivano soprattutto dal Vescovo di Parma Felice Cantimorri.
La risposta della Bertòla è decisa: 19 marzo 1865 la redazione
denuncia la crociata fatta contro la rivista da L’Unità Cattolica e il boicottaggio che subisce nella distribuzione
e nella esposizione nei negozi, a seguito della condanna del vescovo di Parma. L’eco della condanna «corse rapidamente tutta l’Italia
e la guerra più accanita ci fu mossa» e difatti delle 3000 copie
spedite del primo e del secondo numero ne vennero restituiti ben 1200 in un sacco dinnanzi
alla porta. E, infatti, come denuncia la redazione del editoriale,
«presagito il male» che il periodico avrebbe potato arrecare ai reazionari,
«tutte le sette nemiche diedero mano all’opera concordemente e la parola
d’ordine partì per tutte le diocesi onde attraversare e osteggiare l’associazione di un foglio
che esse chiameranno irreligioso». Boicottaggio nella diffusione e non mancano nemmeno le ironie di giornali
progressisti e liberali, di tendenze garibaldine. La scrittura non era
considerata affare di donne. Critiche accanite arrivano da un periodico del
filone socialista-umanitario, «L’Amico dell’Operaio».
L’ideologia
patriarcale era condivisa dalle donne impegnate nel Risorgimento. Conservatori
e liberali, laici e cattolici, anche democratici continuano a pensare che il
posto della donna sia la casa: la loro maggiore istruzione era auspicabile ma
solo per rafforzare il loro ruolo nella famiglia come madri ed educatrici. Il rapporto con Caterina Pigorini Beri, autrice nel
febbraio del 1865 di un libretto sull’istruzione femminile Lettera sull’educazione delle donne, moderata sostenitrice dell’istruzione delle
donne che tuttavia debbono svolgere ruoli familiari tradizionali, rivela la
difficoltà della rivista a penetrare anche nell’opinione pubblica più avanzata
della città. La Pigorini Beri, sostenuta dalla stampa parmigiana per le sue
posizioni, era stata attaccata sulla rivista cattolica l’ «Armonia» da un
editorialista che si firma con lo pseudonimo di Frate Barba. Giovannina Bertòla
scrive alla «cara sorella», dalle pagine della rivista, in data 16 settembre
1865, una lettera di difesa. La risposta di Caterina Pigorini Beri è
cordiale, ma formale, rivela la preoccupazione di
ribadire la distanza dalle posizioni de «La
Voce della donna». Giovannina resta amareggiata e delusa.
Quindi,
senza disconoscere la gravità degli ostacoli che incontriamo per via, noi
procediamo francamente come chi ha la coscienza di agire
pel bene, paghe di aver trovato l’approvazione degl'intelligenti e degli onesti».
Fatto sta che, dopo solo quattordici numeri, il
giornale dovette rinunciare al proposito ambizioso di uscire due volte alla
settimana. Neanche la scadenza quindicinale può essere rispettata e il giornale
uscirà mensilmente per il primo anno, quindicinalmente fino al maggio 1866 e
nel 1867 verranno stampati soltanto due numeri. Malgrado tutto, il giornale,
cosa assai rara, riesce a mantenere una diffusione nazionale e infatti vi si
registrano abbonati in Sicilia e
in Calabria , come a Firenze e a Modena. Non mancano, come è
facile prevedere, le difficoltà economiche: nel 1866 la sede della redazione viene
trasferita da Borgo Santa Brigida 6
a Strada San Michele 142, nella casa della famiglia Garcèa.
La rivista vive tra difficoltà e appelli di sostegno.
Anche molte collaboratrici vengono meno e Giovannina Bertòla scriverà pagine
del giornale pubblicando lettere di lettori maschi, cui risponde in maniera
polemica e con piglio giacobino. Il 1 gennaio 1867, come ricordano Reggiani e
Malandri, esce l’ultimo numero a Parma
e, nella Biblioteca Palatina è conservato un numero,
l’ultimo, stampato a Firenze, su incoraggiamento della Mozzoni, datato martedì
22 gennaio 1867. L’Avviso agli associati,
a firma La Redazione, di questo
ultimo numero.
La chiusura della rivista avviene probabilmente
anche a ragione del periodo di difficoltà di Antonio , che li avrebbe
portati altrove: ad Empoli, probabilmente dopo una breve permanenza a
Firenze. Viene ribadito, dal primo
all’ultimo numero, l’impegno delle donne a costruire l’Italia e gli italiani,
come voleva la tradizione Gioberti, Balbo, D’Azeglio, ma con lo sguardo, la
sensibilità, il punto di vista femminile.
La Bertòla tenace e combattiva, si rende,
probabilmente, conto che i tempi non sono ancora maturi per portare avanti una
battaglia solitaria. Occorreva fondare scuole in tutta la penisola perchè «la civiltà e il
progresso vanno di pari passo colla maggiore o minore istruzione della donna»,
come scriveva Adele Campana su «La voce delle donne» del 1 marzo 1865.
Il 1 gennaio 1867 Giovannina Bertòla aveva scritto:
«Una società
progredisce, sol quando l’influenza della donna si fa sentire, quando ella
concorre, sia pure indirettamente, alla sua legislazione, a’ suoi costumi, alle
sue credenze. Se la civiltà può essere considerata come l’annientamento della
forza brutale è alla donna che lo si deve».
Il periodo di Parma, esaltante e difficile, pieno
di entusiasmi e di amarezze, di consensi e di critiche, che danno alla Bertòla
una notorietà nazionale almeno negli ambienti colti e femminili, si conclude il
1 marzo 1867 quando Antonio Garcèa viene posto in aspettativa «per riduzione di
corpo», in conseguenza della forte riduzione delle spese militari. La famiglia
decide, forse, di trasferirsi a Firenze, nella nuova sede del governo, in
attesa di una qualche nuova collocazione di Antonio. La Bertòla cerca di
nascondere la delusione
e l ’amarezza, ma immagina che probabilmente anche la messa in
aspettativa del marito possa essere una ritorsione di quell’Italia
conservatrice e perbenista che ormai non vedeva di buon occhio gli “eroi” che
l’avevano costruita.
Garcèa non
gradisce l’aspettativa: ottiene di essere messo a riposo per poter così andare
a combattere volontario con Garibaldi, che il 23 ottobre 1867 varcava i confini
dello Stato Pontificio per prendere Roma. La sconfitta di Mentana
o qualche altra circostanza familiare modifica i programmi di Garcèa, che non
si sentiva a suo agio in quella sorta di “accantonamento” che conoscevano tanti
ex combattenti contro i Borboni e che avevano combattuto con Garibaldi o con i
garibaldini. Probabilmente sia Antonio che Giovannina pagano il loro
giacobinismo e anche le posizioni anticlericali e innovative. La famiglia
Garcèa nell’autunno del 1867 si è trasferita ad Empoli, forse dopo una breve
permanenza a Firenze.
Comincia un nuovo movimentato, ricco avvincente periodo:
viaggi, fondazioni di scuola, direzione di scuola, morte di Antonio.
Fine luglio 1864-autunno 1867: poco più di tre anni, ma
sono tra i più importanti per la storia dei due e per la storia culturale di Parma e, anche, di una
giovane nazione.
Parma è una tappa fondamentale e irripetibile. L’incontro
quasi a metà strada tra quel Regno di Napoli, la Napoli dove si era ribellato
Garcèa, e Mondovì dove era nata e si era formata la Bertòla. Un incontro tra
uomo e donna, che danno vita a una rivista che passerà nella storia.
Si Ringraziano le ditte Calabresi:
APOCC , Pecorino Crotonese - Azienda Agricola Parrilla Vini Cirò - Nduja San Donato - COZAC - Casearia Crotonese, Chiellino
Piccola rassegna stampa
la pagina di InformaCIBO dedicata all'evento
l'evento su facebook: http://www.facebook.com/media/set/?set=a.4452166275715.159867.1636275856&type=3
www.ciaocalabria.org
Gazzetta di Parma articolo di L. Molinari
Articolo conclusivo Gazzetta di Parma |
Nessun commento :
Posta un commento
Grazie per aver introdotto il tuo commento.