Reggio Emilia - 15 16 17 Febbraio 2014 http://www.sorgentedelvinolive.org/
A SPASSO CON
BACCO, ovvero:
Sorgente del vino Live 2014
di Raffaele D’Angelo
La grande
scommessa di Sorgente del vino è stata quella di puntare su questi
protagonisti/produttori che hanno scelto un approccio diverso alla consueta e
tradizionale produzione del vino: grande successo e tanta soddisfazione per i
150 produttori partecipanti.
L'evento si è
tenuto il 14, 15 e 16 febbraio alla Fonderia di Reggio Emilia.
Molto radicati
nel loro territorio, questi piccoli avventurieri dell’enologia di prestigio,
riescono ad interpretarlo in maniera esemplare con piccole produzioni, prestando
molta attenzione alla tipicità ma soprattutto senza ricorrere a sostanze
chimiche, tantè che il loro verbo quale sovescio, biodinamicità, clima,
rispetto dei cicli biologici della vite, vini naturali e territorio, è il
fattore determinante e preponderante della loro filiera produttiva.
Ed ora, cari
amici e gourmet della tavola e del buon bere, vi farò partecipi, nel limite del
possibile, di quanto ho visto, ma soprattutto assaggiato e gustato!!!
I
produttori non erano organizzati per regione, quindi ho iniziato il mio giro a
random.
Appena entrato, incontro
gli amici dell'Acino, azienda
calabrese, adagiata sulla piana di Sibari, nel cosentino, tra lo Ionio e il
Tirreno, ai piedi del Pollino e con lo sguardo rivolto alla Sila, terreno
argilloso vocato alla viticoltura sin dall'epoca micenea, XIV-XII° sec. a.C. Di
questi tempi ormai remoti e quasi dimenticati, vi sono testimonianze di scambi
commerciali tra i mercanti greci e le popolazioni locali. In altra epoca, gli
achei del Peloponneso fondarono nel 709-708 a .C., circa, l'una dopo l'altra, Sibari e
Crotone, dando vita alle colonie della Magna Grecia. Qui il terreno argilloso
ricco di nutrienti e il microclima mediterraneo dalle notevoli escursioni
termiche, erano ideali per la crescita della vite che dava vini corposi e
venivano commercializzati in tutto il mediterraneo.
Assaggio il Chora bianco, uve di mantonico,
guarnaccia bianco e greco: alla vista si presenta giallo paglierino intenso con
marcati riflessi dorati dai netti sentori floreali, susina e pesca matura,
mentre al palato è secco con nota di freschezza senza essere aggressiva, buona
morbidezza ed equilibrio. Passato al Chora nella brillante tipologia rosso
rubino intenso da ricchi aromi di frutta rossa molto matura, confettura di
prugna, ciliegia sotto spirito e mirtilli; al palato è secco e vellutato dalla
tannicità non invadente, caldo di alcol, nota di frutta matura e di sottobosco
dal finale lungo e persistente. Ottimo con la gustosa cucina del territorio,
quale pastasciutta con ricchi e saporiti intingoli di carne, agnello e piccola
cacciagione.
Altro assaggio: le Drude, rosso elegante dal profumo di sottobosco, sentori di spezie dolci e di cuoio ma meno tannico e più rotondo rispetto al precedente ma che presenta un notevole difetto: ti invita a berne almeno un altro sorso, ma è meglio se sono due!!
Non si può
dire di no, anche se la giornata è ancora lunga e mi aspettano ancora tante
tappe che mi auguro siano all'altezza di queste appena fatte.
Si percepisce subito il carattere e l’eleganza del
vino, fresco, fragranze di frutta rossa matura e confettura, quasi una spremuta
di amarena sotto spirito, sapido, con una lunga persistenza.
Passo al rosso riserva che si presenta rosso rubino scarico, ottenuto da un’attenta e curata pressatura soffice. Al naso prevale ribes rosso, ciliegia matura, in bocca si riconfermano questi sentori, sapido, lieve nota speziata, finale lungo e un leggero retrogusto di ulivo ed eucalipto, sottobosco, che mi ricordano le camminate tra i litorali della costa ionica prima di arrivare sulla spiaggia.
Da Cirò, dopo appena due passi, eccomi in
piena Borgogna con i suoi grandi vini, sono catturato dallo
sguardo magnetico di Céline, i cui vigneti si trovano a Loché-Macon, zona molto vocata ai vini bianchi, soprattutto sauvignon blanc. Col personale francese scolastico, da Cèline riesco ad apprendere che si tratta di un vino ottenuto secondo il rispetto dell’agricoltura sostenibile, biologico e biodinamico, certificato, poche bottiglie prodotte. Assaggio Pouilly Loché, uno chardonnay in purezza, affinato in botti di rovere: veramente eccezionale, elegante e sapido, dai lunghi aromi di legni dolci.
sguardo magnetico di Céline, i cui vigneti si trovano a Loché-Macon, zona molto vocata ai vini bianchi, soprattutto sauvignon blanc. Col personale francese scolastico, da Cèline riesco ad apprendere che si tratta di un vino ottenuto secondo il rispetto dell’agricoltura sostenibile, biologico e biodinamico, certificato, poche bottiglie prodotte. Assaggio Pouilly Loché, uno chardonnay in purezza, affinato in botti di rovere: veramente eccezionale, elegante e sapido, dai lunghi aromi di legni dolci.

In ogni sorso tanta passione, amore e rispetto per il territorio, fotografia di rito, assaggi e appuntamento in Slovenia dove Aleks possiede un agriturismo con cibo “organico”.
Barcollo ma
non mollo, mi viene da pensare.
Approfitto della nduja, adesso mi sento a casa, le mie papille sono delicatamente avvolte dal peperoncino e hanno bisogno di una pausa.
Solo le 16, ed è ora della lezione sulla storia
della viticultura calabrese tenuta dal Prof. Orlando Sculli alla quale mi ero precedentemente accreditato, dal tema,
interessantissimo, de "Biodiversità
recupero di antiche varietà di vite, olivo e alberi da frutta in territorio calabro".
Mancando da
oltre vent'anni dalla Calabria, è un valido motivo per seguirne gli avvenuti
progressi.
Il Professor Sculli ha saputo incrociare
sapientemente le informazioni raccolte fra la popolazione, nelle sue lunghe e
difficili perlustrazioni del territorio, con la sua profonda cultura della
storia e della civiltà non solo d'Italia, ma di tutta l'area del Mediterraneo,
partendo da numerosi secoli prima di Cristo per giungere ai giorni nostri.
Il giardino, ovvero, Chepos delle Meraviglie, è solo una parte del suo intenso lavoro
che ha bisogno di essere diffuso, in quanto merita ampiamente la valorizzazione
e sia conosciuto ed apprezzato non solo dagli addetti ai lavori, ma anche dalle
popolazioni locali la cui storia si perde nella notte dei tempi.
Il relatore ha
terminato con la trattazione sui genomi del “greco di Bianco” che è stata
illuminante, data la particolarità degli elementi riportati e dalla chiarezza
espositiva: presentazione, in toto, veramente unica. Complimenti ancora al
Prof. Sculli.
Con la mente
ancora rivolta alle interessantissime trattazioni sul territorio calabrese,
eccomi verso le ultime visite, devo
incontrare l'amico Santino Lucà con il suo greco di Bianco. Un produttore attentissimo alla
qualità dalla
produzione limitatissima, in quanto si definisce tale per “vocazione”. Il Greco di Bianco è un altra eccellenza che
tutto il mondo invidia alla Calabria e all'Italia enologica.
Citato nella celebre battaglia della Sagra avvenuta
nel 500 a.c. combattuta tra Locri e Crotone, alla quale si attribuisce al greco
di Bianco il merito della vittoria riportata da 10.000 locresi contro un
avversario immensamente più nutrito, pari a 130.000 guerrieri.
In antichità, erano lodate anche le virtù
afrodisiache di questo vino, tantè che in un graffito è possibile leggere "Sei veramente gelida, Bice, e di
ghiaccio, se ieri sera nemmeno il vino Greco e' riuscito a scaldarti"
In tempi più recenti, il grande Luigi Veronelli ebbe a dire " … che in provincia di Reggio
Calabria, precisamente tra i comuni di Bianco e Casignana, c'è una rara gemma
enologica: è il passito greco di Bianco dal colore tra l'oro antico e l'ambra,
profumo unico, amaro e aromatico come le zagare ed il bergamotto".
Se il grande Veronelli si è sbilanciato in tali
asserzioni, gli si deve assolutamente credere!!!
Ottimo abbinamento con dolci di pasta e miele o con
le mandorle, fichi al forno sempre con le mandorle.
Ottima
interpretazione dell'amico Santino Lucà.
Mi ritaglio
ancora un po’ di tempo, già le hostess invitano gentilmente ad abbandonare la
nave, cerco i cari amici della Cantina
Viola, intravedo Alessandro, con suo fratello Claudio ci si sente
telefonicamente da quasi un anno ma non ci siamo mai incontrati, mi offrono un
assaggio ma non mi riconoscono, iniziano a spiegarmi le caratteristiche di
questo nettare di Calabria, orgoglio della viticultura italiana. Mentre lo
assaggio penso: Qui si inchinano anche gli amici d’oltralpe. Ma lo penso già da
un po’. Saracena è un comune della provincia di Cosenza, si presume discenda
dall’Antica Sestio, fondata dagli Enotri.
Il Moscato di Saracena stava per scomparire, è
stato grazie alla passione del Maestro Luigi Viola che una volta in pensione,
ha pensato di dare vigore a questa tradizione. Alcune informazione su come si
produce questo nettare di Calabria. Il procedimento è quasi un rito. I primi di
Settembre viene raccolto il Moscato, fatto appassire impiccato grappolo per
grappolo. Nella prima decade di ottobre viene raccolta la Malvasia e la
Guernaccia, in parti uguali, dopo una pressatura soffice, si utilizza quasi il
mosto fiore, viene bollito e ridotto per aumentare la concentrazione
zuccherina, poi viene aggiunta l’uva moscato, schiacciata manualmente acino per
acino per evitare la rottura dei vinaccioli, sarà quest’ultima uva che
conferirà i caratteristici profumi, miele di acacia, delicati sentori di
agrumi, mandorle, cardamomo, salvia, albicocca e altri odori della macchia
mediterranea. L’azienda produce circa 5000 bottiglie. Vincitrice di numerosi e
prestigiosi riconoscimenti, è presidio Slow Food. Complimenti all’Azienda Viola
che con passione e tenacia è riuscita a mantenere questa tradizione. Ottimo da
meditazione, abbinamenti: formaggi erborinati, dolci secchi della tradizione
italiana.
Gentilmente sollecitato ad uscire,
lentamente mi avvio alla macchina, ma è un comportamento lento e lievemente
frastornato, come se camminassi su un’impalpabile e leggera nuvola dalle rarità
ed immani piacevolezze che questi piccoli ma immensamente “grandi” produttori
sono stati in grado di fare con quanto la natura ha dato loro: storicità,
terra, rari vitigni e l’innato ingegno dell’uomo …
Raffaele D'Angelo